Tre domande a… Gianpaolo Salvini

(fonte: Ex-News 04-2016)

Pubblichiamo l’intervista completa a Gianpaolo Salvini, nostro ospite nella rubrica “Tre domande a…” di Ex-News e Tuttoleone 04-2016.

Intervista a Gianpaolo Salvini S.J.
Ex-alunno, insegnante, giornalista, scrittore, sciatore, alpinista.

Alunno negli anni 50 e docente negli anni 70: quali sono le differenze più evidenti tra allora ed oggi?

Tra il Leone di oggi e quello di “miei tempi” la differenza che noto immediatamente, come ho sottolineato una volta durante un mio intervento in teatro, è data dal fatto che oggi al Leone… non ci sono più io. Voglio dire che mi viene istintivo fare i confronti tra due epoche diverse e manifestare una nostalgia o un rimpianto. Questo però è ingiusto verso tutti coloro che vivono al Leone attualmente, o come alunni o come insegnanti. Ad essi il Signore ha donato solo questo tempo da vivere e da mettere a frutto. L’eredità passata conta, ma la riflessione educativa e di insegnamento va incarnata nel presente, che è diverso da allora.
Come insegnante (avevo pochi giorni di lezioni, lavorando soprattutto a San Fedele) mi sono divertito molto, con ragazzi simpatici come erano stati i miei compagni di classe, soprattutto del Liceo. E ho conosciuto molti colleghi di notevole valore. Meno chiaro è se si siano divertiti anche i miei alunni. Questo tocca a loro dirlo.

La presenza dei padri e dei fratelli in quegli anni era massiccia, oggi abbiamo il primo Papa gesuita a persino i professori di religione non sono gesuiti: come è garantita l’attuazione del metodo ignaziano?

E’ una domanda a cui è difficile rispondere. Credo che, teoricamente, ci vorrebbe un minimo di padri gesuiti nell’Istituto, che oggi non ci sono. Occorre perciò almeno una selezione degli insegnanti che faccia emergere dalla loro personalità e spiritualità l’ispirazione ignaziana: convinzione nella testimonianza della fede facendola emergere dalla loro vita (un insegnante non insegna solo la propria materia, ma ciò che lui è), metodo di ignaziano che educa alla preghiera e alla responsabilità come persone illuminate anche dalla fede, educa al non farsi condizionare dalla moda, a saper discernere per fare le scelte giuste, metodo rigoroso di studio aperto anche alle scienze moderne. È evidente che, oggi come allora, molti frequentano il Leone (o vi vengono inviati dalle famiglie) alla ricerca dell’efficienza, di un ambiente «protetto», della preparazione all’Università e non per l’ispirazione cristiana. Da questi alunni aspetterei almeno che si preparino alla coerenza, a scelte etiche nella vita e con l’impegno nello studio. L’Istituto dovrebbe distinguersi per l’eccellenza dell’insegnamento (e dello studio personale) e per la proposta di fede, non effettuata con i metodi imperativi di una volta, ma più evidenti di quelli talvolta rimasti oggi. Le formule sono difficili da trovare ma i laici possono aiutare non poco in questo campo. C’è da tenere conto che alcuni sono ottimi insegnanti, e dotati di vero spirito ignaziano, ma non per questo sono capaci di insegnarlo ad altri, cominciando dai colleghi.

Se possono, come possono gli ex-alunni partecipare alla vita della scuola?

È scontato che la vita della maggioranza degli ex-alunni si distacca più o meno rapidamente da quella della scuola, spesso anche per necessità di vita. La maggioranza degli ex-alunni però mi pare che conservi simpatia per la scuola leoniana vissuta, che serve ancora almeno come identità del proprio cammino. «Ho studiato dai gesuiti», mi hanno detto moltissime persone in ogni parte del mondo. Mi auguro poi che continui ad esistere un gruppetto di ex-alunni, possibilmente giovani, che tenga viva l’associazione, con iniziative, manifestazioni, occasioni di incontro, di cene ecc. Con attorno un ampio gruppo di simpatizzanti che li sostenga e incoraggi.

Gli ex-alunni potrebbero essere al centro del progetto di formazione continua, nel doppio ruolo di formatori e di partecipanti?

Penso di sì, purché non si cambino i ruoli. Cioè si lasci ai professori di fare i Professori. Gli ex-alunni facciano i genitori (se lo sono) e sappiano creare un clima di collaborazione nella formazione, che testimoni ai ragazzi e alle ragazze che essi per primi credono nella scuola e nei valori che la ispira. Di formazione continua del resto, abbiamo bisogno tutti. Collaborare a quella degli altri aiuta anche il formatore stesso.

Uno dei difetti imputati alle scuole cattoliche è quello di non essere al passo con i tempi e di reagire troppo lentamente ai cambiamenti: in un periodo come questo in cui i cambiamenti sono rapidissimi, come reagiscono le scuole della Compagnia?

Credo che dipenda da scuola a scuola. I gesuiti hanno sempre cercato di educare a «scienze nuove», come la matematica, la fisica e il teatro, quando ben pochi se ne interessavano nella scuola. Oggi si tratta soprattutto di insegnare un metodo che consenta di impadronirsi delle novità più che di informare su tutto. Quanto a informatica e web spesso gli alunni ne sanno più degli insegnanti. Ma si deve aiutare a discernere e ad usare questi nuovi mezzi non solo come utili strumenti (come faccio io, educato nell’epoca cartacea e delle macchine da scrivere), ma come ambiente in cui vivere senza farne un’idolatria fine a se stessa o senza inseguire ogni novità aggiungendo nuove materie.
Quanto alle scuole in genere, ho molti amici che dovendo soggiornare all’estero (diplomatici, militari in missione, funzionari di aziende estere ecc.) hanno obbligato i figli e le figlie a cambiare più volte scuola, trascorrendo molti anni in scuole straniere. Quasi tutti mi dicono che, a parte il grande vantaggio di imparare le lingue estere, nessuna scuola straniera, anche nei Paesi europei, vale il liceo italiano. Quindi non sempre siamo gli ultimi, anche se il nostro liceo ha ancora un fondo umanistico, o appunto per quello.

Un tempo si diceva che il compito delle scuole della Compagnia fosse quello di formare la classe dirigente del futuro, oggi si dice che vogliano preparare i giovani ad abitare questo mondo ed essere protagonisti della loro vita e della società: diverse parole per uno stesso concetto o ridimensionamento degli obiettivi?

Il compito delle scuole della Compagnia oggi non è quello di formare la classe dirigente (i gesuiti del resto hanno sempre avuto anche scuole popolari), ma persone colte, responsabili e coerenti e fornite degli strumenti necessari per interpretare il nostro tempo e per viverlo senza seguire soltanto le mode. Alle volte siamo così intenti a correre dietro ai «cambiamenti rapidissimi» di cui parla la domanda, che la nostra anima non riesce a stare dietro alle novità e i nuovi strumenti, nati per rendere più umana la nostra vita, da strumento diventano il fine, ma senz’anima. Constato in ogni caso che molti ex-alunni fanno parte di fatto delle classi dirigenti in ogni nazione dove siamo presenti con le scuole, Italia compresa. Purtroppo anche i gesuiti stanno diventando una «specie protetta» (al pari degli altri Ordini religiosi) e quindi siamo meno in grado di servire anche il nostro Paese con le scuole, assai ridotte.
Del futuro è padrone soltanto il Signore. Le previsioni, come diceva un saggio indiano, sono sempre difficili, specialmente se riguardano il futuro. Ma anche attraverso le nuove tendenze culturali e le necessità del nostro tempo, il Signore ci può indicare i nuovi metodi e le nuove forme di presenza.

Direttore de La Civiltà Cattolica per 26 anni, un osservatorio particolare e privilegiato: un suggerimento all’Istituto ed uno all’Associazione Ex-Alunni? 

L’esperienza alla Civiltà Cattolica, e prima ad Aggiornamenti Sociali, mi ha dato moltissimo ed è stata privilegiata, ma non tocca a me… farne propaganda. Certo ho vissuto dall’interno un osservatorio privilegiato. Il suggerimento, per gli ex-alunni, è perciò quello di avere sempre disponibile, e di usare, qualche strumento culturale di lettura (cartacea od on-line) che aiuti a leggere il nostro tempo e il nostro mondo in modo comprensibile, ma serio. E, a quelli di loro che sono credenti, auguro di trovare sempre un po’ di tempo per dedicarsi a capire gli avvenimenti del nostro tempo visti anche alla luce della fede, o almeno interpretati da gente che cerca di ragionare più che di gridare le proprie opinioni, o scritti da «saggi», senza considerare saggi solo quelli che la pensano come noi.

Un suggerimento da Ex-Alunno agli Ex-Alunni e uno alla nostra scuola?

Da ex-alunno direi anzitutto di vivere con entusiasmo e passione la propria vita, specialmente se si hanno figli e figlie, nonostante le difficoltà quotidiane e il pessimismo un po’ dilagante. Ottimo metodo per questo è fare qualche cosa per gli altri, specialmente se più emarginati di noi, o più poveri, in ogni senso.
La scuola dovrebbe ricordarci che non viviamo da soli, né soltanto tra concorrenti in lotta spietata, ma tra persone che hanno bisogno le une delle altre e senza di esse non ci si può realizzare. La scuola deve educare ad essere meno individualisti. Di questo abbiamo bisogno tutti.

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