La scuola al tempo di Covid-19

Dall’ultimo numero di Tuttoleone (link), l’esperienza di un prof. del Leone XIII a sei settimane dall’inizio della didattica on-line.

Ripensando alle prime sei settimane di “scuola online”, è stato interessante osservare la mutata percezione della fatica che questo tipo di didattica ha comportato e sta comportando per me.

Durante i primi giorni terminavo le mie ore libero dal senso di stanchezza che l’insegnamento mi richiede in condizioni normali: il fatto di essere al riparo dallo sguardo diretto di alcune decine di giovani occhi indagatori, nonché il fatto di far lezione da casa, senza essere circondato da un contesto animato e a tratti caotico come è quello di una scuola, rendevano la mia giornata scolastica certo più asettica, ma anche più riposante.

A ciò si aggiungeva il piccolo orgoglio di verificare che, pur avendo ragione di non considerarmi un docente tecnologicamente evoluto, ero riuscito ad adattarmi alla “didattica online” nel giro di poche ore, almeno sul piano strettamente tecnico; infine, in quei primi giorni, la sensazione mia e di altri era che si andasse incontro a una sospensione breve e transitoria della normale vita scolastica.

Tutto sommato, quindi, confesso che i miei primi giorni di scuola al tempo di COVID-19 non sono stati esenti da una punta di “effetto gita”.

Col passare dei giorni però, parallelamente all’aggravarsi del contagio e all’incupirsi dell’atmosfera generale nelle nostre città, è risultato chiaro che la chiusura delle scuole sarebbe durata a lungo; anche l’inconfessabile orgoglio del principiante “homo technologicus” gratificato dai suoi successi è stato presto assorbito dalla routine.

Il rimanere a casa, poi, è gradualmente diventato una condizione costringente, e quindi a suo modo faticosa, perdendo l’effetto riposante che inizialmente aveva avuto su di me. Quanto infine al fatto di non essere esposto alla presenza diretta dei miei alunni, e quindi alla fatica imposta dalla presenza non schermata di sé e degli altri, ho dovuto presto realizzare quanto ciò funzionasse nei due sensi: quando ho avuto bisogno di avvertire la presenza “fisica” dei ragazzi per avere il polso dell’andamento del lavoro e per capire se e in che misura fossero state recepite alcune indicazioni da me date, a darmi riscontro non ho avuto altro che lo schermo del computer: un riscontro davvero imperscrutabile!

Il prof. Michele Caprioli durante una web conference

Che dire dunque di quest’esperienza, in attesa di novità certe sulla conclusione dell’anno scolastico? Non c’è dubbio che l’insegnamento è altra cosa rispetto a ciò che stiamo sperimentando in un tempo drammatico per tutti, ed emergenziale anche per la scuola: nessuno di noi insegnanti, probabilmente, avrebbe scelto questo mestiere se esso consistesse nel fare ciò che stiamo facendo in queste settimane.

Ma ciò non esclude che anche in questa distretta possa risiedere qualche stimolo da raccogliere.

In primo luogo, penso alla necessità di ripensare tanti meccanismi della didattica, divenuti negli anni quasi automatismi, nell’ambito di una professione che ha tra i suoi principali rischi quello di portare chi la svolge a ripetere eternamente il già fatto (quanto meno, questo rischio posso riferire a me).

Spiegare o interrogare dietro uno schermo non rappresenta certo, di per sé, un progresso di cui essere entusiasti, ma può diventare spunto per ripensare, in alcuni aspetti, i tempi di lavoro, le forme di controllo e anche gli stili di interazione con i ragazzi.

In secondo luogo, voglio raccogliere il senso di comunità che, in diverse forme, questa emergenza ha risvegliato all’interno della scuola, in ogni sua componente: è come se, facendo tutti un passo indietro, si fosse meglio chiarito quanti legami ci stringano alla realtà a cui apparteniamo.

Questa è in fondo una conseguenza frequente dei momenti di rottura: riscoprire il valore di ciò che si ha e si fa, e allo stesso tempo viverlo in una chiave meno assoluta.

Prof. Michele Caprioli
Docente Istituto Leone XIII

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