Tre domande a… Filippo Germinetti

Da Ex-News 02-2022 arricchisce la libreria dei nostri Ex-Alunni il libro “Le quantità della vita”, per Zacinto Edizioni, scritto da Filippo Germinetti, avvocato, maturità classica 1980.

Quale è il tuo percorso professionale e cosa porti con te della tua formazione al Leone XIII?

Il mio percorso, voltandomi indietro dopo 60 anni, è stato segnato dagli studi classici al Leone XIII e dalla laurea in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica. Il mio obiettivo era quello di diventare avvocato.

Così è stato ed ancora oggi la libera professione mi offre grandi soddisfazioni nel rapporto con le persone che chiedono aiuto e nell’approfondimento necessario per fare del mio meglio. In concreto mi occupo di casa e famiglia, di diritto immobiliare e di diritto di famiglia.

Arrivai al Leone pensando di poter continuare a studiare poco e di poter avere buoni risultati. Ma Don Sangaletti era in agguato ed iniziarono a fioccare i 4.

Il Ginnasio mi costrinse all’umiltà delle ripetizioni e ad un metodo di studio che non possedevo. In quel primo trimestre negativo imparai che non esiste beneficio senza sacrificio. Rincuorai così i miei genitori, assai preoccupati. In questo percorso di crescita l’esempio di grandi maestri – come Padre Edini, Mariella Malaspina e Padre Ceroni – fece la differenza.

Nel tuo libro, partendo dalla chiara similitudine culinaria, attraversi diverse dimensioni per giungere alla tesi che “la qualità della vita dipende dalle quantità”.

Le “quantità della vita” è un libro che rispecchia non solo la mia formazione famigliare e culinaria, ma anche l’educazione che ho incontrato e cercato; per me stesso, per i miei figli e coi miei amici, fatta di passioni e di gratitudine alla vita.

Perfezionare le quantità è per me il modo migliore per giungere ad una vita di buona qualità. Ho seguito due regole basilari: quella dello scrivere aforistico, ritagliando col rasoio pensieri essenziali; poi nessuna citazione e nessuna bibliografia.

Chi lo legge potrà riconoscere prima di tutto principi evangelici, poi Platone, Aristotele, Cartesio, Spinoza, Kant, Hegel e quant’altri, ma non è per me importante. Quel che mi importa è l’autenticità dell’elaborazione personale, il possedere linee guida senza volersi accreditare tramite referenze. Questa autenticità dello scrittore parla all’autenticità del lettore, senza filtri.

Ho imparato, confrontandomi con l’umanità più disparata, che la verità non è patrimonio degli istruiti ma di coloro che non finiscono mai d’imparare.

La tua esperienza di scrittore è terminata con “Le quantità della vita”?

Per nulla. Scrivere saggi non deriva solo dall’apprezzamento altrui, ma anche e soprattutto da esperienze che si vogliono condividere.

Da un paio d’anni presiedo “La Valle di Ezechiele”, una cooperativa sociale che offre lavoro ai detenuti in esecuzione esterna. Col cappellano del carcere di Busto Arsizio e con altri amici accogliamo persone, dando loro la possibilità di rigenerarsi in una vita di lavoro onesto.

Ho quasi terminato un libro che si intitolerà “Giustizia A/R”. I rapporti con “gente di galera” e le riflessioni suscitate da innumerevoli letture – a partire dagli scritti di Paul Ricoeur e del teologo gesuita Eugene Wiesnet – mi hanno permesso di andare alle radici delle giustizie e delle ingiustizie, del bene e del male, della colpa e della pena, della retribuzione, della risocializzazione e della riconciliazione.

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