Tre domande a… Martino Costa

Da Ex-News 04-2022, l’intervista integrale a Martino Costa. Per lavoro si occupa di progetti di emergenza/sviluppo in contesti di guerra e post-conflitto. Nel cuore è lettore e scrittore. All’attivo due romanzi: “Omar” e “Trash”.

Dove vivi, quale lavoro fai e qual è stato il tuo percorso formativo e professionale dopo aver frequentato il Leone?
Da quasi sei anni vivo ad Amman in Giordania. Di lavoro mi occupo di progetti di emergenza/sviluppo in contesti di guerra e di post-conflitto. Dopo il diploma di maturità scientifica mi sono iscritto alla facoltà di filosofia all’Università Statale di Milano. Nel frattempo, ero anche iscritto al corso di Composizione al Conservatorio G. Verdi di Milano. Dopo la laurea ho frequentato un master in cooperazione internazionale e nel 2004 sono partito per il Darfur. Da allora ho vissuto e lavorato in molti paesi: Pakistan, Sud Sudan, Sri Lanka, Striscia di Gaza, Libano, Iraq.

Quali ricordi hai del tempo al Leone? È stato un periodo di crescita per te e se sì in quale senso?
Ricordi belli e meno belli. Sicuramente ho incontrato gli amici che sono poi rimasti con me per tutta la vita, anche se da diciotto anni vivo praticamente sempre all’estero. Il Leone mi ha dato un’ottima educazione, ho bellissimi ricordi di alcuni professori, tra cui la professoressa Resta, che ha sempre nutrito la mia passione per la letteratura. Altri ricordi sono meno felici. Ma fa parte della vita e alla fine, al Leone, ci ho speso otto anni, che a quell’età, significano quasi la metà della propria esistenza.

Quale scintilla ti ha condotto alla scrittura?
La lettura, senz’altro. È da quando avevo dieci anni che leggo davvero molto. Tralasciando i libri dell’infanzia di cui ricordo solo Dersu Uzala, ho cominciato alle medie con il neorealismo italiano, ossia Pavese, Vittorini, Fenoglio, Cassola, Primo Levi, ecc. Poi la poesia: Montale e Ungaretti su tutti, ma sono sempre stato onnivoro. Mi sono laureato con una tesi su Kafka, e da sempre leggo tonnellate di letteratura americana. Scrivere è venuto di conseguenza, ricordo lunghe notti insonni, sdraiato a letto con un quaderno sulle gambe, a scrivere poesie strampalate.

La marginalità mi pare al centro delle tue storie. È corretto? È un tema a te caro o è altro che desideri trasmettere nei tuoi romanzi?
Sì e no. Da una parte, nella marginalità ci sono immerso quasi da sempre: ho fatto molto volontariato, prima al cottolengo Don Orione, poi con i richiedenti asilo e vittime della tortura al Naga e poi, come dicevo, da quasi vent’anni lavoro con profughi e sfollati di guerra, gli ultimi degli ultimi; quindi, è probabile che scrivere storie di persone ai margini mi sia venuto naturale. Però, quello che mi premeva esprimere era più la questione umana e i paradossi delle esistenze di chi si ritrova a non poter scegliere. Il privilegio, nella vita, consiste nell’avere delle scelte. A volte, l’essere umano riesce a crearsele anche dove sembra impossibile, altre volte soccombe. La marginalità, dal punto di vista letterario, semplifica le cose per temi di questo tipo. Ma non è la marginalità in sé che mi interessa in assoluto.

Dalla Giordania alla provincia italiana sembra esserci un filo rosso di incomprensione che si fa disperazione… cosa manca all’uomo di oggi perché diventi strumento di speranza e non di disperazione per il suo prossimo?
Sarò sincero: non so rispondere a questa domanda. Vorrei capire cosa si intende con speranza, o meglio, a cosa tende la speranza. Abbiamo tutti la stessa speranza? È la speranza che ci tiene in vita? O l’abitudine? O la paura? Speriamo nella pace? Nell’assenza di dolore fisico o psicologico? Nella vita eterna? Ha senso ancora, dopo millenni di storia dell’uomo e di tutto quello che, nel bene o nel male, ha combinato, parlare ancora di speranza? Se dovessi dire qual è la mia speranza, direi che ho speranza nella bellezza: la bellezza della natura (anche se qui ci sarebbe molto da dire su quanto la natura possa essere malvagia, ma tralasciamo), e nella bellezza dell’arte. Per il resto mi attengo a quel che diceva Wittgenstein: su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.

Ci sarà un prossimo libro, ci vuoi anticipare qualche cosa?
Lo spero. Ho due libri pronti, che sono in lettura da diversi agenti e case editrici. Un romanzo e una raccolta breve di racconti. Ma è troppo presto per dire qualcosa. Se usciranno sarò felice di parlarne con voi, se vorrete.

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