Addio a P. Silvano Fausti S.J.

È morto questa mattina a Milano Silvano Fausti, 75 anni, gesuita e biblista. Tra i fondatori della Comunità di Villapizzone, nella periferia milanese, in cui gesuiti e famiglie vivono in uno stile di condivisione, per lunghi anni ha tenuto una lettura biblica nella Chiesa di San Fedele e ha partecipato a innumerevoli iniziative della Fondazione Culturale San Fedele, editrice di Aggiornamenti Sociali. In particolare, ha tenuto per 8 anni una rubrica su Popoli, altra rivista dei gesuiti edita al San Fedele, che ha terminato le pubblicazioni nel 2014. Proprio in occasione di un incontro organizzato da Popoli, nel marzo 2014, padre Silvano ha scritto un testo dedicato a papa Francesco, che riproponiamo qui come ricordo e come ultimo saluto.

(fonte, Sito di Aggiornamenti Sociali)

Pastori con odore di pecora

Il Cantico dei Cantici è un effluvio di odori. «Profumo effuso» è il Nome, da cui ogni nome. Dio è profumo: non si nega a nessuno e si dona tutti. Segno di presenza e percepibile al buio, l’odore marca l’identità di ogni singola realtà. Lo sanno bene i cani. Ricordo Mandissoba e Falcão, i due lupi del vescovo di Castanhal, in Brasile. Arrivato di notte a casa sua, mi annusarono la mano dalle fessure del recinto. L’anno dopo, arrivato alla stessa ora, mi scodinzolarono di gioia.

A fiuto anche noi distinguiamo profumo da puzza, piacere da nausea, gioia da tristezza. Vita da morte. Identità e odore di Dio è la gioia. Essa è frutto di amore corrisposto, unica possibilità di vita. Tristezza è puzza di morte, negazione di amore ricevuto e dato. Ma se è ricevuto, è naturalmente dato. «Amor ch’a nullo amato amar perdona»: è la più bella definizione di Dio. Scaturisce dalla tenebra dell’Inferno, costantemente squarciata dall’indignazione e compassione di Dante. Odio per il male e amore per il malato non sono la luce che a tutti rivela Dio?

La passione di Gesù, centro del Vangelo, è inclusa tra il profumo di Betania, che Luca anticipa, e quello del sepolcro, che Giovanni pone nel «giardino». Qui sta la camera dove dorme lo Sposo, odorante di cento libbre di profumi. Gli uomini si dividono in già e non ancora morti. Nel sepolcro tutti conveniamo. Empi o pii, lì li troviamo. È il talamo nuziale dell’incontro tra amato e amata, tra Dio e uomo, amato di amore eterno. «Forte più della morte è l’amore».

Il profumo pieno di Dio è Gesù, il figlio dell’uomo. In lui Dio odora di uomo perché l’uomo odori di Dio. È Lui la «nostra» altra parte, il «non altro da ogni altro» che a tutti dà la loro e la sua propria identità. «Carne della mia carne e ossa delle mie ossa», grida alla sposa Adamo, da lei e per lei risvegliato da morte. Amare è comunicare all’amato ciò che si ha e si è. L’amore fa dei due una sola carne, un solo odore.

Soggetto e Predicato

Paolo chiama i cristiani «buon odore di Cristo», che si diffonde nel mondo intero. Hanno il suo odore, la sua identità. Per questo in loro ogni figlio d’uomo percepisce la propria maestà divina. È il prodigio di san Francesco che parla con Saladino e frate lupo, con frate sole e frate vento. È la genuinità del vescovo di Roma che ciascuno fiuta come suo simile. Solo perché è «umano», pastore che odora delle sue pecore. Nessuna esclusa. Anzi, si fa più vicino alla più lontana.

Anche negli Atti degli Apostoli l’angelo indica al pagano Cornelio una pista «odorifera» per cercare Pietro e convertirlo a essere «un uomo» come lui. Si trova a Giaffa, in riva al mare, ospite di Simone il conciatore. Suo «palazzo apostolico» è una conceria. Odorabile a distanza da tutti, è per Dio più adorabile di ogni incenso. Da lì partirà la rivelazione al mondo di Colui che si è fatto carne in Israele per farsi carne in ogni uomo. Solo così Dio è se stesso: «uno» e «tutto in tutti».

«Odorare di pecora» è il motto del pastore di Roma. Il suo odore è lo stesso delle pecore. Sta con loro giorno e notte. Infatti il «pastore bello» è lo stesso Agnello, che, con fatica mortale, porta tutti ai pascoli della vita.

L’uomo è figlio di Dio, sua immagine e somiglianza, non perché buono, bello e pio, ma semplicemente in quanto figlio dell’uomo. Questa espressione, massimo comun divisore di ogni uomo, è l’unica che Gesù applica a sé. Essa include per primo chi escludiamo come cattivo, brutto ed empio come Lui , «quasi verme e non uomo». Prima della croce solo i diavoli e Pietro dicono che Gesù è figlio di Dio. Ma lui li tacita.

È la croce di Gesù – distanza che lui ha posto tra sé e le nostre idee su Dio – che lo rivela Dio. Con buona pace di tutti, bisogna dire non: «Gesù è Dio», bensì: «Dio è Gesù». Il soggetto infatti è l’incognito di cui è noto il predicato. Ma Dio nessun teologo l’ha mai visto: è il «soggetto» del quale tutto parla, ma solo per analogia. Il suo «predicato» proprio e totale è Gesù. Il suo corpo, protagonista dei Vangeli, ci rivela Dio. La sua carne, in ciò che fa e dice, lo manifesta come il Verbo, l’Unigenito che ci fa l’esegesi di quel Dio che nessuno mai ha visto. In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Il suo corpo mostra ciò che mai entrò in occhio o cuore d’uomo. È svelamento di Dio, salvezza sua e nostra. Per questo Paolo, spiazzando tutti, dice: «Io non ritenni di saper altro in mezzo a voi se non Gesù, e questi crocifisso».

Chi dice «Gesù è Dio» ignora o strapazza i Vangeli, è doceta, giussanita o neoambrosiano. Attribuisce al Crocifisso quanto ogni religione dice di dio: è l’onnipotente che tutto possiede e tutti giudica, condanna e giustizia. La croce di Gesù sdemonizza tale immagine divina, ben utilizzata da religiosi e negata da atei. Perversione satanica invertire soggetto e predicato! Povero Dio, svuotato dalla conoscenza di Gesù e imbottito da nostri deliri di potere.

Dal Calvario i discepoli fuggono. Non vogliono questo Dio. Restano le donne che amano. Nei primi tre Vangeli i «teologi» che lo riconoscono sono il malfattore convinto di essere tale e il centurione pagano che lo uccide. Giovanni a sua volta conclude con il colpo di lancia al cuore, da cui sgorga sangue e acqua. E ci consegna il vertice di ogni profezia: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Nasciamo dalla ferita d’amore di Dio. Guardando lì, scopriamo chi siamo noi per lui e lui per noi. Evviva i cristiani che si sanno malfattori e/o uccisori di un Dio blasfemo.

Gesù dirà alle sue pecore: «Venite, benedetti dal Padre mio». Ero affamato, assetato, immigrato, nudo, malato e carcerato: voi mi avete sfamato, dissetato, ospitato, vestito, visitato e accolto. I giusti dicono di non averlo mai visto così malconcio. Ignorano che ciò che si fa all’ultimo è fatto a lui.

Pecore o caproni?

Ai caproni, coltissimi, piissimi e ricchi di belle liturgie, Gesù dirà: «Lontani da me maledetti». Vi siete allontanati da me, rifiutando i miei fratelli più poveri. Ogni ultimo degli uomini è figlio dell’uomo, Dio stesso che si rivela e mi salva. Siamo noi a giudicare e condannare Dio, non lui noi. Quelli che escludiamo sono l’Agnello di Dio che porta su di sé il nostro male. Per questo una Chiesa, cominciando dal pastore, deve profumare di pecora e non di caprone.

Perché i buoni sono chiamati pecore e i cattivi capri? Guidata dall’istinto, la capra sa trovare cibo. La pecora invece no: si mette al seguito suo o di un pastore. Molti uomini hanno come modello il caprone, al cui istinto basta sesso e pascolo, alias danaro. Soddisfatto il piacere, compiuto il dovere!

«Che male c’è?», dice qualcuno. Purtroppo ignora che l’uomo non è solo istinto: è desiderio di felicità, frutto maturo di amore corrisposto. Bulimia di roba, sesso e potere è sintomo di infelicità. Chi non si sa amato e si sente nessuno, è posseduto dall’istinto di mangiare tutto e tutti. E non basta mai! Non ama né sé né altri. È da curare, come gran parte dei politici e dei potenti. Felicità non è avere, potere e apparire. Questa è via regia di menzogna e ingiustizia, che tutto infetta di morte. Pensiamo al secolo passato. Ciò che sta accadendo ora è peggio. Solo che ogni male è, come sempre, spostato in corpore vili. Siamo diventati tutti «scarti del sistema», asserviti alla stupidità della Borsa. Essa, sola signora di se stessa, è sovrana su tutto. E distrugge quanto tocca per innalzare sempre più il suo trono di fuoco e fumo. Ma siamo così imbecilli da volere questo stile di vita?

Gesù si propone come il «pastore bello» proprio nel recinto del tempio (Gv 10). Nel recinto le pecore sono munte, tosate o, come in questo caso, vendute al sacro macello. Gesù vuol condurre gli uomini fuori da tutte le recinzioni, per portarli alla libertà dei figli di Dio. E Dio è bellezza di amore a servizio di ogni uomo, suo figlio a sua immagine e somiglianza. Ognuno, lo sappia o no, per Dio vale più di lui: dà la sua vita per lui!

Quando verrà il Messia? Quando lo riconosciamo in ogni figlio d’uomo, nostro fratello. Allora noi saremo ciò che siamo e Dio sarà tutto in tutti. Gesù è «pastore bello» perché Agnello che espone, dispone e depone la sua vita per tutti. Proprio così è Signore della vita e vince la morte.

Chi non odora di pecora, non è pastore: è ladro e brigante che ruba e uccide. Perché noi scegliamo come capi i più caproni? Il primo re fu Caino che uccise il fratello, imitato da tutti i suoi successori. non solo da Romolo. Leggi la favola di Esopo, identica a Giudici 9,8-15 e simile a 1Sam 8,1ss. Tale modello è la proposta del serpente che ci fece perdere l’albero della vita. Abile incantatore, fa apparire buono, bello e desiderabile ciò che risulta cattivo, brutto e detestabile (Gn 3,1ss). Ora il serpente è messo in pensione, rappresentato meglio da mamma Tv e leggi di mercato con i loro padroni, seguiti da turivociferanti accoliti politici e religiosi.

Preghiamo che l’odore di pecora contamini tutti e ci faccia come l’Agnello. Allora ci saranno cieli nuovi e terra nuova.

Silvano Fausti SJ

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